Nella musica, nelle lingue e in tante altre discipline, prendere lezioni da un buon insegnante è solo una parte del lavoro.
Altrettanto importante è infatti mettersi alla prova: davanti ad un pubblico, con un madrelingua ecc.
Esiste il rischio di sbagliare, esiste la possibilità di non avere successo al primo tentativo eppure vale la pena correre questo rischio, perché se chi ci segue è veramente un bravo insegnante, saprà sostenerci in questa nostra esperienza e aiutarci a trarne il miglior insegnamento.
Stavo riflettendo su questi argomenti durante le vacanze, pensando agli alunni dei corsi di musica di Progetto HAR e a quelli dell'Orchestra di Flauti, che a dicembre hanno suonato in pubblico, alcuni per la prima volta dopo solo un paio di mesi di lezione. Mi è venuto in mente quello che noi chiamiamo "il sabato dell'HARPEGGIO", ossia quel giorno che dedichiamo alla prova generale e ad analizzare con tutti gli alunni ciò che è successo, senza critiche distruttive, cercando invece di costruire insieme agli allievi una maggiore consapevolezza di ciò che succede sul palcoscenico, da utilizzare come strumento per una performance migliore.
Ho pensato anche a quei professori che non lasciano salire gli allievi su di un palco perché "non ancora abbastanza bravi" e mi sono chiesta per chi non siano ancora bravi a sufficienza. Forse perché loro (i professori n.b., non gli alunni) facciano una figura sufficientemente buona? Non è forse invidiabile avere alunni che dopo sole 8-10 lezioni sappiano stare con garbo davanti al pubblico, anche se il loro suono non è ancora perfettamente formato o la loro interpretazione ancora un pochino immatura? O forse per non rischiare di doverli aiutare a confrontarsi con un successo non proprio pieno? E di nuovo...pieno per chi? A volte mi sembra che le lezioni di strumento abbiano come protagonista l'insegnante invece dell'allievo.
Sono sinceramente convinta che né l'insegnante, né lo strumento, né la partitura possano essere il centro di interesse di una lezione. Solo l'alunno può esserlo e l'alunno nella totalità del suo essere: con i suoi interessi extra-musicali oltre che i suoi gusti musicali, con il maggiore o minore talento, la maggior o minor voglia di studiare, con il carattere che ha, la famiglia che ha, la storia che ha. Con le sue paure, le sue speranze, le cose che gli portano gioia e con le frustrazioni. Non per assecondarlo in ogni sua richiesta, ma perché solo così saremo veramente in grado di comunicare con lui/lei ed essere ascoltati veramente.
Ascoltiamo ogni tanto i nostri alunni, non solo quando suonano e non solo con le orecchie: in cambio otterremo l'inaspettato.
Buon ascolto!!
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